Patologia preesistente e risarcimento del danno da responsabilità sanitaria

Patologia preesistente e risarcimento del danno da responsabilità sanitaria: la svolta della Cassazione n. 17006/2025

La recente ordinanza della Cassazione civile n. 17006 del 24 giugno 2025 affronta  la complessa questione dell’incidenza delle patologie preesistenti sulla quantificazione del danno biologico. La decisione, pronunciata dalla Terza Sezione Civile, non si limita a confermare principi consolidati, ma offre una lettura sistematica e organica dei criteri che devono guidare il giudice nella delicata operazione di liquidazione del danno quando il paziente sia già portatore di condizioni patologiche pregresse.

Il caso 

Un minore, sottoposto a intervento chirurgico di osteotomia sovracondiloide antivalgo, aveva subito l’accorciamento del piede destro di quattro centimetri a causa dell’errata esecuzione dell’intervento. La Corte d’appello di Napoli, pur riconoscendo la responsabilità del medico e dell’Azienda Ospedaliera, aveva liquidato il danno biologico nella misura del solo 45% dell’invalidità complessivamente accertata, senza fornire adeguata motivazione di tale riduzione e senza rispondere alle critiche sollevate dalla difesa del danneggiato.

La Cassazione, accogliendo il ricorso, ha censurato tale approccio metodologico, evidenziando come la mera riduzione percentuale del risarcimento, priva di un’adeguata indagine causale, costituisca violazione dei principi fondamentali che governano la materia. La decisione assume particolare significato perché chiarisce definitivamente che la presenza di patologie preesistenti non può comportare automaticamente una riduzione del risarcimento, ma richiede un’analisi specifica dell’incidenza causale di tali condizioni sui postumi invalidanti.

I principi di diritto consolidati e la loro applicazione

La Suprema Corte riafferma con chiarezza i principi consolidati in materia di nesso causale, richiamando l’art. 41 del codice penale e l’art. 1223 del codice civile. Sul piano della causalità materiale, il principio dell’equivalenza causale comporta che la preesistenza della malattia in capo al danneggiato costituisca una concausa naturale dell’evento di danno, resa irrilevante dal concorso del fatto umano. Questo significa che, dal punto di vista dell’imputazione causale dell’evento, il responsabile risponde integralmente delle conseguenze dannose, indipendentemente dalle condizioni patologiche pregresse del paziente.

Tuttavia, sul piano della causalità giuridica, la questione assume maggiore complessità. L’art. 1223 del codice civile richiede che il risarcimento comprenda soltanto i danni che costituiscano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. È proprio in questa dimensione che le patologie preesistenti possono assumere rilevanza giuridica, non già per escludere la responsabilità, ma per delimitare l’ambito dell’obbligo risarcitorio.

La distinzione fondamentale: concorrenza versus coesistenza

Il cuore della decisione risiede nella distinzione, consolidata nella giurisprudenza di legittimità, tra menomazioni “concorrenti” e “coesistenti”. Tale distinzione, già delineata in precedenti arresti della Cassazione e confermata dalla recente ordinanza n. 21261 del 30 luglio 2024, assume carattere dirimente per la corretta applicazione dei criteri risarcitori.

Le menomazioni si considerano “coesistenti” quando i loro effetti invalidanti non mutano per il fatto di presentarsi isolate o associate ad altre menomazioni. In tali ipotesi, la condizione preesistente risulta giuridicamente irrilevante ai fini della liquidazione del danno, dovendo questo essere quantificato come se a patirlo fosse stata una persona perfettamente sana. Il principio trova la sua ratio nel fatto che, se i postumi permanenti causati dall’illecito non sono stati aggravati dalle menomazioni preesistenti, essi nella loro interezza costituiscono conseguenza esclusiva del fatto illecito.

Diversamente, le menomazioni si qualificano come “concorrenti” quando gli effetti invalidanti risultano meno gravi se isolati e più gravi se associati ad altre menomazioni. In questi casi, la preesistenza assume rilevanza giuridica ai fini della liquidazione del risarcimento, pur non incidendo sulla determinazione del grado percentuale di invalidità, che va stabilito in base alla complessiva invalidità riscontrata in concreto.

Il metodo della “prognosi postuma” e il giudizio controfattuale

La Cassazione sottolinea che l’accertamento della natura concorrente o coesistente delle menomazioni deve essere condotto attraverso un rigoroso giudizio controfattuale, utilizzando il metodo della cosiddetta “prognosi postuma”. Tale metodologia impone di stabilire, attraverso una valutazione ex post e in concreto, quali sarebbero state le conseguenze dell’illecito in assenza della patologia preesistente.

Il giudizio controfattuale non può risolversi in mere formule definitorie astratte o nella semplice verifica dell’identità o diversità degli organi o delle funzioni menomati. Richiede invece un’indagine specifica e circostanziata, condotta con il supporto di adeguata consulenza tecnica, volta a stabilire se le conseguenze dell’errore medico risultino teoricamente equivalenti sia per il paziente reale sia per un ipotetico paziente perfettamente sano.

Qualora tale valutazione conduca a concludere per l’equivalenza delle conseguenze, dovrà escludersi qualsiasi nesso causale tra preesistenze e postumi, con la conseguenza che questi ultimi andranno valutati e quantificati integralmente. Se invece dovesse accertarsi che la patologia preesistente ha contribuito ad aggravare il danno patito dalla vittima, il danno non sarà nella sua interezza conseguenza immediata e diretta del fatto illecito, ma soltanto per la parte che si sarebbe ugualmente verificata anche in assenza delle preesistenze.

I criteri di quantificazione del danno differenziale

Quando l’accertamento tecnico dimostri la natura concorrente delle menomazioni, la liquidazione del danno deve seguire specifici criteri di calcolo. La Cassazione, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità, conferma che il calcolo deve essere operato assumendo come base la percentuale di invalidità complessivamente risultante, dalla quale sottrarre quanto monetariamente previsto dalle tabelle per la percentuale di invalidità comunque ineliminabile e non riconducibile alla responsabilità del sanitario.

Tale metodologia si differenzia sostanzialmente dal mero calcolo aritmetico della differenza percentuale. La progressione geometrica e non aritmetica del sistema tabellare impone infatti di convertire in valori monetari sia la percentuale di invalidità complessivamente accertata sia quella preesistente, per poi sottrarre il secondo importo dal primo. Questo approccio garantisce il corretto ristoro del maggior pregiudizio derivante dall’incidenza della lesione iatrogena su una condizione già compromessa.

Le criticità metodologiche censurate dalla Cassazione

La decisione della Corte d’appello napoletana viene censurata dalla Cassazione per molteplici profili metodologici. In primo luogo, viene stigmatizzata l’acritica recezione delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, senza rispondere alle critiche sollevate dalla difesa del danneggiato. Tale approccio viola il principio secondo cui il giudice, pur non essendo vincolato alle conclusioni del consulente, deve fornire adeguata motivazione quando se ne discosti o quando non accolga le osservazioni critiche delle parti.

In secondo luogo, la Cassazione censura la mancanza di una valutazione differenziale del danno. Il giudice d’appello non aveva spiegato il procedimento logico-giuridico attraverso cui aveva ritenuto di fissare la valutazione del danno nella misura percentuale del 45%, limitandosi a una generica riduzione priva di supporto tecnico-scientifico. Tale carenza motivazionale assume particolare gravità quando si consideri che la liquidazione del danno biologico costituisce questione di diritto e non di mero fatto, richiedendo quindi una motivazione che consenta il controllo di legittimità.

L’importanza del contraddittorio tecnico

Un aspetto di particolare rilevanza della decisione riguarda l’importanza del contraddittorio tecnico nella formazione del convincimento del giudice. La Cassazione sottolinea come il giudice non possa limitarsi a recepire passivamente le conclusioni del consulente d’ufficio, ma debba confrontarsi criticamente con le osservazioni delle parti e dei loro consulenti tecnici.

Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva omesso di rispondere alle specifiche critiche mosse dalla difesa del danneggiato in ordine alla valutazione effettuata dal consulente tecnico d’ufficio. Tale omissione assume carattere di nullità della sentenza quando il giudice ponga a fondamento della propria decisione l’inosservanza dell’onere probatorio, pur in presenza di un’offerta di prova da parte del danneggiato.

La decisione riafferma quindi il principio secondo cui il contraddittorio tecnico costituisce elemento essenziale del giusto processo anche nella fase di liquidazione del danno, non potendo il giudice sottrarsi al dovere di motivazione specifica quando le parti abbiano sollevato eccezioni circostanziate e tecnicamente fondate.

Le implicazioni per la prassi giudiziaria

La pronuncia della Cassazione assume particolare rilevanza per la prassi giudiziaria, fornendo indicazioni metodologiche precise per la trattazione dei casi di responsabilità sanitaria in presenza di patologie preesistenti. I giudici di merito dovranno necessariamente procedere a un’indagine specifica sull’incidenza causale delle preesistenze, non potendo limitarsi a generiche riduzioni percentuali del risarcimento.

L’orientamento consolidato dalla Suprema Corte impone inoltre una maggiore attenzione nella nomina e nell’utilizzo dei consulenti tecnici d’ufficio. La consulenza tecnica dovrà necessariamente affrontare la questione della natura concorrente o coesistente delle menomazioni, fornendo al giudice gli elementi necessari per una valutazione consapevole. Non sarà più sufficiente una generica indicazione percentuale di riduzione del danno, ma occorrerà una specifica analisi controfattuale delle conseguenze dell’illecito.

Le prospettive evolutive della giurisprudenza

La decisione della Cassazione si colloca in un percorso evolutivo della giurisprudenza di legittimità che, negli ultimi anni, ha progressivamente affinato i criteri di valutazione del danno biologico in presenza di patologie preesistenti. Il consolidamento di tali principi risponde all’esigenza di garantire un risarcimento equo e proporzionato, evitando sia l’automatica riduzione del danno sia la sua integrale liquidazione in assenza di un’adeguata valutazione causale.

L’orientamento giurisprudenziale si muove nella direzione di una sempre maggiore personalizzazione del danno, richiedendo una valutazione caso per caso delle specifiche condizioni del danneggiato e dell’effettiva incidenza delle preesistenze sui postumi invalidanti. Tale approccio, pur comportando una maggiore complessità nell’accertamento, garantisce una più precisa corrispondenza tra entità del danno e quantum risarcitorio.

Conclusioni e riflessioni sistematiche

L’ordinanza n. 17006/2025 della Cassazione rappresenta un contributo fondamentale alla sistematizzazione dei principi in materia di responsabilità sanitaria e patologie preesistenti. La decisione non si limita a confermare orientamenti consolidati, ma offre una lettura organica e metodologicamente rigorosa dei criteri che devono guidare l’operatore del diritto nella complessa valutazione del danno biologico.

La distinzione tra menomazioni concorrenti e coesistenti, il metodo della prognosi postuma, l’importanza del contraddittorio tecnico e la necessità di una motivazione specifica costituiscono i pilastri di un sistema che mira a garantire l’equità del risarcimento senza sacrificare il rigore metodologico. La pronuncia conferma che il diritto vivente in materia di responsabilità sanitaria ha raggiunto un grado di maturità tale da fornire agli operatori strumenti affidabili per la risoluzione delle controversie più complesse.

L’evoluzione giurisprudenziale testimonia inoltre la capacità del sistema giuridico di adattarsi alle crescenti esigenze di tutela del paziente, bilanciando l’esigenza di un risarcimento integrale con la necessità di evitare indebiti arricchimenti. In questa prospettiva, la corretta applicazione dei principi delineati dalla Cassazione costituisce garanzia di giustizia sostanziale e di effettività della tutela risarcitoria in uno dei settori più delicati del diritto civile contemporaneo.

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Dott.ssa Veronica Lupi