Ancora chirurgia per l’appendicite?

L’appendicite è la malattia di competenza chirurgica che nella storia dell’umanità ha causato più morti, dopo le ferite sul campo di battaglia. Oggi interessa, nel corso di tutta la vita, l’8% dei maschi e il 7% delle donne.

A partire dalla fine dell’ottocento, e poi in seguito all’introduzione della anestesia generale, è stata trattata con la sua asportazione, l’intervento di appendicectomia, accompagnata, a partire dagli anni 50, anche dalla terapia antibiotica.nAncora oggi l’appendicite è responsabile di mortalità, in casi molto rari, per le sue complicanze, che sono però tutt’altro che infrequenti.

Nel tempo, alla tradizionale appendicectomia per via aperta si sono associate modalità meno invasive, come l’appendicectomia laparoscopica, il drenaggio e ultimamente anche il solo trattamento antibiotico.

A tutti i medici è stata insegnata l’importanza della diagnosi e del trattamento tempestivo dell’appendicite acuta, soprattutto allo scopo di prevenire ed evitare le possibili gravi complicanze, quali la peritonite, la perforazione e l’ascesso.

Alla valutazione dei tradizionali segni clinici, quali dolore addominale, febbre, nausea e vomito negli ultimi decenni si sono associati esami strumentali di importanza fondamentale quali l’ecografia e la TAC dell’addome. Questo consente di identificare le appendiciti iniziali, non complicate, per le quali negli ultimi anni, dopo 120 anni di appendicectomia, è stato testato il trattamento medico con antibiotici, senza intervento chirurgico.

Limitatamente alle forme di appendicite non complicata, la terapia antibiotica, protratto per 10 giorni, consente la risoluzione dell’episodio acuto nel 70% dei casi, ed il restante 30% richiede comunque l’intervento di appendicectomia entro 3 mesi. Per i primi giorni il paziente dovrebbe prudenzialmente rimanere ricoverato in ospedale.

Nei pazienti trattati con il solo antibiotico, episodi di appendicite ricorrente si hanno però nel 40% dei casi entro 5 anni, e solitamente richiedono l’appendicectomia.

Un discorso a parte vale per gli anziani, i pazienti immunocompromessi o con gravi patologie associate, per i quali è comunque consigliabile l’appendicectomia.

Complessivamente i pazienti non operati vanno incontro più frequentemente a complicanze rispetto agli operati, e il trattamento antibiotico appare più opportunamente da riservarsi ai casi, confermati con TAC, di appendicite non complicata nei quali ci siano fondati motivi per evitare la chirurgia in quel momento, come ad esempio in epoca di pandemia o per gravi problemi personali, costringendo però il paziente a controlli clinici nel tempo ed esponendolo alla frequente ripresa dei sintomi e alla possibilità, in ogni momento, di dover ricorrere ad un intervento chirurgico d’urgenza.

In conclusione, fatti salvi alcuni casi selezionati, la chirurgia resta, come sempre, il trattamento più sicuro e definitivo per l’appendicite acuta. Ancora oggi, tuttavia, l’appendicite non riconosciuta, o trattata in ritardo, è causa tutt’altro che infrequente di danno biologico, anche importante, e di conseguente contenzioso per risarcimento medico.

Prof. Maurizio Gavinelli