Responsabilità sanitaria, nesso di causa e risarcimento dei danni
La sentenza della Cassazione civile n. 9012/2025 che mi hai sottoposto rappresenta un caso paradigmatico della complessa problematica della responsabilità sanitaria in ambito ostetrico-ginecologico, affrontando questioni di particolare rilevanza, tra le quali la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale delle strutture sanitarie per danni da parto.
I fatti di causa
La vicenda riguarda un caso di responsabilità sanitaria in ambito ostetrico che ha coinvolto una coppia di genitori e la loro figlia neonata presso l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia. I genitori si erano rivolti al Tribunale di Reggio Emilia per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalle gravi lesioni cerebrali subite dalla loro figlia durante il parto, avvenuto nel 2012 presso l’Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale di Reggio Emilia. Il parto si è concluso alle ore 4:46 del mattino con la nascita della bambina in condizioni cliniche di grave asfissia, come evidenziato dai valori del battito cardiaco fetale (BCF) registrati durante il travaglio.
Le criticità rilevate nell’assistenza sanitaria
Durante il travaglio sono emerse diverse carenze nell’assistenza medica:
- Problemi di monitoraggio: Tra le ore 4:00 e 4:46, si è verificato un problema tecnico del cardiotocografo che ha impedito la registrazione continua del battito cardiaco fetale. La dottoressa aveva annotato sulla cartella clinica che il “battito [era] auscultato ad intermittenza in presenza dei genitori”, ma il valore del BCF non era stato “frutto di una interpretazione” dell’operatrice.
- Mancata strumentazione adeguata: La struttura non disponeva della strumentazione necessaria per il monitoraggio cardiotocografico continuo, circostanza che ha compromesso la possibilità di rilevare tempestivamente i segni di sofferenza fetale.
- Carenze organizzative: La gestione del parto è stata affidata a personale ostetrico inesperto, senza un’adeguata supervisione medica specialistica.
L’evento lesivo
La piccola è nata alle ore 4:46 in una situazione di presenza del battito cardiaco ma in assenza di atti respiratori spontanei. I sanitari hanno iniziato immediatamente le manovre di rianimazione, allertando l’anestesista e il pediatra. L’équipe medica ha proseguito la rianimazione neonatale fino alle ore 6:05, quando la neonata, stabilizzata, è stata trasferita all’Ospedale di Parma con diagnosi di encefalopatia ipossico-ischemica.
Le conseguenze
Gli accertamenti clinici successivi hanno evidenziato che la grave cerebropatia spastica era riconducibile a “un evento ipossico-ischemico ben documentato dagli esami clinico-strumentali effettuati dopo la nascita”, con un’evoluzione postnatale clinica e neuroradiologica “tipicamente quella della ischemia grave del nato a termine”.
I consulenti giudiziali hanno concluso che l’“ischemia del nato a termine” era riconosciuta come causata da un evento di shock improvviso, indipendente dalle condotte professionali dei sanitari, ma hanno anche rilevato profili di responsabilità legati alle carenze strutturali e organizzative della struttura sanitaria.
La sentenza ha quindi accertato la responsabilità dell’Azienda Sanitaria per i danni subiti dalla neonata, ora affetta da grave disabilità permanente con un’invalidità dell’85%, e per il conseguente danno non patrimoniale subito dai genitori per la lesione del rapporto parentale.
Il quadro normativo di riferimento
La decisione si inserisce nel contesto normativo delineato dalla Legge n. 24 del 2017, che ha profondamente innovato il sistema della responsabilità sanitaria. L’articolo 7 della legge Gelli-Bianco stabilisce infatti che la struttura sanitaria risponde ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile delle condotte dolose o colpose degli esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa.
I profili di responsabilità della struttura sanitaria
La sentenza evidenzia chiaramente i diversi profili di responsabilità che possono configurarsi a carico della struttura sanitaria. In primo luogo, emerge la responsabilità contrattuale per inadempimento delle obbligazioni direttamente a carico della struttura, come la messa a disposizione di attrezzature e strumentazioni adeguate. La Corte ha infatti rilevato come la mancata dotazione nel reparto di ostetricia della strumentazione necessaria per il monitoraggio cardiotocografico del benessere materno-fetale integri un profilo di responsabilità oggettiva della struttura, rappresentando un “evento sentinella” che l’azienda sanitaria aveva l’obbligo di prevenire e correggere.
Questo orientamento trova conferma nella giurisprudenza consolidata e, come evidenziato dalla Corte d’appello di Messina, la struttura sanitaria risponde a titolo contrattuale sia per fatto proprio ex art. 1218 c.c., in caso di inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, sia per fatto dei dipendenti e ausiliari ex art. 1228 c.c.
Le violazioni delle linee guida e dei protocolli sanitari
Un elemento centrale della decisione riguarda la violazione delle linee guida e dei protocolli sanitari in ostetricia. La Corte ha evidenziato come i sanitari abbiano omesso di seguire le raccomandazioni previste dalle linee guida per il monitoraggio del benessere fetale durante il travaglio, configurando una condotta negligente che ha contribuito causalmente al verificarsi del danno. Questo aspetto assume particolare rilevanza alla luce dell’articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dalla legge Gelli-Bianco, che esclude la punibilità per imperizia quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il medico che omette di proseguire il monitoraggio cardiotocografico continuo dopo aver rilevato segni di sofferenza fetale, limitandosi ad una mera auscultazione intermittente, risponde del reato di lesioni colpose quando tale condotta omissiva impedisce di cogliere tempestivamente l’aggravarsi della sofferenza fetale (sentenza della Cassazione penale n. 3393/2024),.
Il nesso causale e l’onere probatorio
La sentenza affronta in modo approfondito la complessa questione del nesso causale tra la condotta dei sanitari e il danno subito dal neonato. La Corte ha applicato il criterio del “più probabile che non”, consolidato dalla giurisprudenza di legittimità, per accertare se l’inadeguata assistenza durante il travaglio abbia causalmente contribuito all’insorgenza delle lesioni cerebrali permanenti. Come chiarito dalla Cassazione, il paziente danneggiato ha l’onere di provare non solo l’esistenza del rapporto contrattuale, ma anche il nesso di causalità materiale tra la condotta del medico in violazione delle regole di diligenza e l’evento dannoso (Cassazione civile Sez. III ordinanza n. 13107 del 12 maggio 2023)
Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto dimostrato il nesso causale sulla base delle risultanze peritali che hanno escluso fattori causali alternativi e hanno ricondotto le lesioni cerebrali del neonato all’inadeguata assistenza durante il parto. Questo orientamento è coerente con quanto stabilito dalla giurisprudenza di merito, che ha chiarito come il nesso causale vada accertato secondo il criterio del “più probabile che non”, valorizzando sia le risultanze della diagnostica per immagini sia il decorso clinico.
I profili organizzativi e la responsabilità per fatto proprio
Un aspetto particolarmente innovativo della sentenza riguarda l’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria per profili organizzativi. La Corte ha infatti rilevato come la gestione del parto sia stata affidata a una ostetrica inesperta rispetto al personale propriamente medico, configurando una carenza organizzativa che ha contribuito al verificarsi del danno. Questo orientamento è in linea con la giurisprudenza più recente che, come evidenziato dalla Corte d’appello di Salerno (Corte d’appello di Salerno, sentenza n. 61 del 2024), riconosce la responsabilità contrattuale della struttura ospedaliera quando i sanitari omettano di eseguire tempestivamente le indagini diagnostiche necessarie in presenza di sintomi rivelatori di possibili complicanze.
La quantificazione del danno
La sentenza affronta anche la complessa questione della quantificazione del danno, distinguendo tra il danno biologico subito dal minore e il danno non patrimoniale iure proprio dei genitori per la lesione del rapporto parentale. La Corte ha applicato i criteri stabiliti dall’articolo 7 della legge n. 24/2017, che prevede che il danno sia risarcito sulla base delle tabelle del codice delle assicurazioni private, integrate ove necessario per tener conto delle fattispecie non previste.
La liquidazione del danno ha tenuto conto sia della gravità delle lesioni cerebrali permanenti subite dal neonato (quantificate in una percentuale di invalidità dell’85%) sia del danno da lesione del rapporto parentale subito dai genitori, in linea con l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità che riconosce l’autonoma risarcibilità di tale voce di danno.
Considerazioni conclusive
La sentenza evidenzia l’importanza di un approccio sistematico alla valutazione della responsabilità sanitaria, che tenga conto non solo degli aspetti strettamente medici ma anche di quelli organizzativi e strutturali.
L’orientamento espresso dalla Corte appare coerente con l’evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia di responsabilità sanitaria, che ha progressivamente rafforzato la tutela del paziente attraverso l’introduzione di meccanismi di responsabilità più stringenti per le strutture sanitarie e l’adozione di criteri più rigorosi per la valutazione del nesso causale. La sentenza contribuisce così a delineare un quadro di maggiore certezza giuridica in un settore particolarmente delicato, dove la tutela della salute si intreccia con la protezione dei diritti fondamentali della persona.
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Dott.ssa Veronica Lupi