Rifiuto del ricovero e responsabilità medica

Rifiuto del ricovero e responsabilità medica: tra consenso informato e concorso di colpa del paziente

L’analisi dell’ordinanza della Cassazione civile n. 21362 del 30 luglio 2024 offre l’occasione per approfondire una delle questioni più delicate della responsabilità sanitaria: quando il rifiuto del ricovero da parte del paziente possa configurare un concorso di colpa tale da escludere o ridurre la responsabilità della struttura ospedaliera e del personale medico.

Il quadro normativo di riferimento

La disciplina della responsabilità sanitaria trova oggi il suo fondamento principale nella legge n. 24 del 2017 (legge Gelli-Bianco), che ha ridefinito i rapporti tra strutture sanitarie, professionisti e pazienti. L’articolo 7 della legge stabilisce che la struttura sanitaria risponde delle condotte dolose o colpose degli esercenti la professione sanitaria ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile.

Parallelamente, la legge n. 219 del 2017 sul consenso informato ha codificato il diritto del paziente all’autodeterminazione terapeutica, stabilendo che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata. Cruciale è il comma 3 dell’articolo 1, che sancisce il diritto di ogni persona “di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario”.

La natura contrattuale della responsabilità sanitaria

La giurisprudenza consolidata, confermata dalle recenti pronunce dei tribunali di merito, inquadra la responsabilità della struttura ospedaliera nell’alveo della responsabilità contrattuale. L’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto atipico di assistenza sanitaria che comporta obbligazioni complesse non limitate alla sola prestazione medica, ma estese all’organizzazione dei servizi, alla messa a disposizione di personale qualificato e attrezzature adeguate.

Il concorso di colpa del paziente: i principi generali

L’articolo 1227 del codice civile disciplina il concorso del fatto colposo del creditore, stabilendo che “se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”.

Nel contesto sanitario, questa norma trova applicazione quando il comportamento del paziente contribuisce causalmente al verificarsi del danno. Tuttavia, come chiarito dalla Cassazione non è sufficiente una valutazione generica: il giudice deve indagare specificamente se sussista effettivamente un fatto colposo del paziente e quale sia la sua incidenza causale sull’evento dannoso.

L’ordinanza della Cassazione n. 21362/2024

Il caso esaminato dalla Suprema Corte presenta elementi di particolare interesse. Una paziente si era recata al pronto soccorso dove, a causa di un errore diagnostico, non le era stata diagnosticata un’ischemia cerebrale. Successivamente, la paziente aveva rifiutato il ricovero e solo due giorni dopo era stata trasportata presso un’altra struttura dove l’ischemia era stata finalmente individuata, ma ormai tardivamente.

I giudici di merito avevano ritenuto che il rifiuto del ricovero configurasse un concorso colposo della vittima nella misura del 50%, riducendo conseguentemente il risarcimento. La Corte d’appello aveva motivato tale decisione affermando genericamente che “in ambiente ospedaliero, il paziente – che può essere seguito da una equipe di medici – è molto più tutelato per cui è normale pensare che il danno procurato dall’errore terapeutico avrebbe potuto essere attenuato”.

La Cassazione ha censurato questa motivazione per la sua genericità e superficialità, evidenziando come il giudice di merito avesse omesso di considerare due elementi fondamentali:

  1. L’assenza di informazione sul reale quadro clinico: la paziente e i suoi familiari non erano stati adeguatamente informati della gravità della situazione e della necessità del ricovero;
  2. La scarsa efficacia causale del ricovero: i consulenti tecnici d’ufficio avevano evidenziato che un ricovero tempestivo avrebbe avuto una “poco verosimile efficacia” nel prevenire l’evento dannoso, considerato che la condizione embolica era già in atto e il danno ormai prodotto.

L’importanza del consenso informato nel rifiuto del ricovero

La decisione della Cassazione pone l’accento su un aspetto cruciale: il rifiuto del ricovero può configurare un concorso di colpa del paziente solo se questo sia stato reso sulla base di una corretta e completa informazione. Come stabilito dall’articolo 1, comma 6, della legge 219/2017, “il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale”.

Tuttavia, questa esenzione da responsabilità presuppone che il rifiuto sia stato espresso in modo consapevole e informato. Nel caso in esame, proprio a fronte dell’errore diagnostico inizialmente commesso, la paziente non era in grado di comprendere se il mancato ricovero potesse esporla al rischio di gravi peggioramenti di salute.

Il precedente del 2013: quando il rifiuto esclude la responsabilità

È interessante confrontare la decisione del 2024 con la sentenza della Cassazione n. 14530 del 2013, che aveva invece confermato l’esclusione della responsabilità medica in un caso analogo. In quella circostanza, la Suprema Corte aveva ritenuto che “quando il medico del pronto soccorso consiglia il ricovero del paziente e tale ricovero viene rifiutato dal paziente stesso o dai suoi familiari, con sottoscrizione della relativa dichiarazione di rifiuto, si determina l’interruzione del nesso eziologico tra la condotta del sanitario e l’eventuale evento dannoso successivamente verificatosi”.

La differenza sostanziale tra i due casi risiede proprio nella qualità dell’informazione fornita al paziente: nel caso del 2013 era stato “appurato che alla paziente fu debitamente consigliato dal medico del pronto soccorso il ricovero”, mentre nel caso del 2024 mancava una corretta informazione sul reale quadro clinico.

Gli orientamenti della giurisprudenza di merito

La giurisprudenza di merito più recente ha sviluppato principi coerenti con l’orientamento della Cassazione. Il Tribunale di Bologna (sentenza n. 2824 del 2024) ha chiarito che “il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all’autodeterminazione terapeutica e deve essere acquisito attraverso modalità che garantiscano al paziente una comprensione effettiva dei rischi, benefici e alternative del trattamento proposto”.

Analogamente, il Tribunale di Terni (sentenza n. 56 del 2025) ha precisato che “in materia di consenso informato, l’inadempimento dell’obbligo informativo assume diversa rilevanza causale secondo che sia dedotta violazione del diritto all’autodeterminazione o lesione del diritto alla salute, richiedendo nel secondo caso l’allegazione dell’opzione che il paziente avrebbe esercitato se adeguatamente informato”.

I criteri per la valutazione del concorso di colpa

Dall’analisi della giurisprudenza emergono alcuni criteri fondamentali per valutare se il rifiuto del ricovero configuri un concorso di colpa del paziente:

1. Qualità dell’informazione fornita

Il primo elemento da verificare è se il paziente sia stato adeguatamente informato del proprio stato di salute e dei rischi connessi al rifiuto del ricovero. L’informazione deve essere completa, comprensibile e specifica rispetto alla situazione clinica concreta.

2. Capacità di autodeterminazione del paziente

È necessario accertare che il paziente fosse in condizioni di esprimere un consenso o dissenso consapevole, valutando le sue condizioni psico-fisiche al momento della decisione.

3. Incidenza causale del rifiuto

Il giudice deve verificare, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, se e in quale misura un tempestivo ricovero avrebbe potuto effettivamente influire sull’evoluzione della patologia e prevenire l’evento dannoso.

4. Proporzionalità della riduzione del risarcimento

Qualora sia accertato un concorso di colpa, la riduzione del risarcimento deve essere proporzionata alla gravità della colpa del paziente e all’entità delle conseguenze che ne sono derivate, secondo quanto previsto dall’articolo 1227 del codice civile.

Le responsabilità della struttura sanitaria

La struttura ospedaliera non può limitarsi a invocare il rifiuto del paziente per escludere la propria responsabilità. La struttura sanitaria ha specifici obblighi organizzativi e di protezione che non vengono meno per il solo fatto che il paziente rifiuti il ricovero.

In particolare, la struttura deve:

  • Garantire un’adeguata informazione al paziente sui rischi del rifiuto
  • Documentare correttamente il processo informativo e la manifestazione di volontà del paziente
  • Valutare l’opportunità di attivare procedure alternative di monitoraggio o follow-up
  • Considerare, nei casi più gravi, la possibilità di un ricovero coattivo quando ne ricorrano i presupposti di legge

L’onere probatorio

Un aspetto cruciale riguarda la distribuzione dell’onere probatorio. 

Il paziente che agisce per responsabilità contrattuale deve provare l’esistenza del contratto e limitarsi ad allegare l’inadempimento, rappresentato dall’aggravamento della situazione patologica o dall’insorgenza di nuove patologie, mentre grava sulla struttura sanitaria l’onere di dimostrare l’esatto adempimento.

Nel caso specifico del rifiuto del ricovero, sarà quindi onere della struttura sanitaria dimostrare:

  • Di aver fornito un’informazione adeguata e comprensibile al paziente
  • Che il rifiuto sia stato espresso in modo consapevole e documentato
  • Che l’eventuale ricovero avrebbe effettivamente potuto prevenire o limitare il danno

Le implicazioni pratiche per le strutture sanitarie

La decisione della Cassazione ha importanti ricadute pratiche per le strutture sanitarie, che devono adottare protocolli più rigorosi nella gestione dei casi di rifiuto del ricovero:

1. Protocolli informativi standardizzati

È necessario sviluppare procedure standardizzate per garantire che l’informazione fornita al paziente sia completa e documentata, con particolare attenzione ai rischi specifici connessi al rifiuto del ricovero nella situazione clinica concreta.

2. Documentazione del processo decisionale

Ogni fase del processo informativo e decisionale deve essere accuratamente documentata nella cartella clinica, includendo le informazioni fornite, le domande del paziente, le sue reazioni e la manifestazione finale di volontà.

3. Coinvolgimento di figure specialistiche

Nei casi più complessi, può essere opportuno coinvolgere figure specialistiche (medici legali, psicologi, mediatori) per garantire che il processo di acquisizione del consenso o del dissenso sia condotto nel modo più appropriato.

4. Procedure di follow-up alternative

Quando il paziente rifiuta il ricovero, la struttura dovrebbe valutare l’attivazione di procedure alternative di monitoraggio, come controlli ambulatoriali ravvicinati o contatti telefonici, per mantenere un collegamento terapeutico e intervenire tempestivamente in caso di peggioramento.

Prospettive future e conclusioni

L’evoluzione della giurisprudenza in materia di responsabilità sanitaria e consenso informato evidenzia una crescente attenzione alla qualità della comunicazione medico-paziente e alla tutela del diritto all’autodeterminazione terapeutica. La decisione della Cassazione n. 21362/2024 rappresenta un importante punto di equilibrio tra questi principi e la necessità di garantire una tutela effettiva della salute del paziente.

Le strutture sanitarie sono chiamate a un impegno sempre maggiore nell’implementazione di procedure che garantiscano non solo l’eccellenza tecnica delle prestazioni mediche, ma anche la qualità del processo comunicativo e decisionale. Solo attraverso questo approccio integrato sarà possibile ridurre il contenzioso e migliorare la qualità complessiva dell’assistenza sanitaria.

La lezione che emerge dall’analisi giurisprudenziale è chiara: il rifiuto del ricovero da parte del paziente non costituisce automaticamente una causa di esclusione o riduzione della responsabilità sanitaria. È necessaria una valutazione caso per caso, che tenga conto della qualità dell’informazione fornita, della capacità di autodeterminazione del paziente e dell’effettiva incidenza causale del rifiuto sull’evento dannoso. Solo quando tutti questi elementi siano adeguatamente accertati e motivati, il giudice potrà riconoscere un concorso di colpa del paziente ai sensi dell’articolo 1227 del codice civile.

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Dott.ssa Veronica Lupi